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Una mostra che "mette in tavola" le opere di 17 artisti operanti nel territorio e appartenenti a diverse generazioni, legate dalla comune riflessione intorno al tema del pasto frugale.
Dopo la tappa presso la doppia sede dei Musei San Domenico e dell’Oratorio di San Sebastiano a Forlì, si apre a Portico di Romagna, nella suggestiva sede della chiesa di Santa Maria in Girone, la mostra Repas frugal, promossa da Portico in Arte e patrocinata dal Comune di Portico e San Benedetto.
E' una mostra che vuole “metterà in tavola” le opere di diciassette artisti operanti nel territorio regionale e appartenenti a diverse generazioni, legate dalla comune riflessione intorno al tema del pasto frugale, per mezzo del quale l’uomo è capace di riscoprire un valore fondativo alla propria esistenza.
Il titolo della mostra prende spunto da un’opera di Pablo Picasso, l’acquaforte Le Repas frugal del 1904, che rappresenta due figure, una maschile e una femminile sedute ad un tavolo ed immerse in un silente dialogo, in cui si inserisce pienamente la scarna natura morta in primo piano: una bottiglia di vino, un piatto vuoto, due bicchieri e un pezzo di pane. Si è partiti dunque da questa forza e questa capacità che da secoli hanno avuto gli oggetti legati all’alimentazione essenziale di rappresentare simbolicamente o di raccontare l’uomo, per trasporre questa riflessione nella contemporaneità.
Da qui il desiderio di mettere a confronto le opere degli artisti sul tema della natura morta esistenzializzata: un pasto povero, una portata per ciascuno, da imbandire a fianco di quelle altrui, per esprimere il proprio concetto di riduzione alla primarietà, in una dimensione contemporanea.
Opere di: Matteo Babbi, Barbara Baroncini, Giulia Bassani, Tommaso Bressan, Alice Cesari, Oscar Dominguez, Martina Esposito, Jacopo Flamigni, Luca Freschi, Ivo Gensini, Patrizia Giambi, Elena Hamerski, Matteo Lucca, Maria Paolini, Irene Prendin, Carlo Rivalta, Fabio Servadei Morgagni.
Mostra e catalogo a cura di Elena Hamerski e Marco Servadei Morgagni
La scelta di presentare una collettiva di artisti appartenenti a diverse generazioni, portatori di differenti sensibilità di approccio ai temi, nonché di un diverso ricorso ai media, risponde alla volontà di fare di questa mostra un’occasione di riflessione per un pubblico che possa avvalersi di una delle principali caratteristiche dello scenario artistico contemporaneo: la sua eterogeneità. Le opere, selezionate sia per il loro valore estetico che per quello contenutistico, dialogano tra loro in modo non obbligato e consecutivo in un percorso che si snoda su un tavolo di diciotto metri, lasciando liberi gli spettatori di perdersi in una lunga degustazione interpretativa della natura morta frugale. È infatti come se ci trovassimo davanti a una tavola vera e propria dell’arte dove ognuno può assaggiare o abbuffarsi a proprio gradimento. Questi assaggi ci mettono difronte a uno dei tanti “pranzi gratis” (Achille Bonito Oliva) dell’arte dove lo spettatore è invitato a un “banchetto duraturo”. Lo spettatore può assaggiare e cogliere liberamente, secondo il proprio punto di vista, il proprio vissuto e la propria sensibilità, ciò che l’arte oggi offre nei modi più svariati: “La gratuità e non arbitrio della produzione artistica risponde al bisogno biologico del soggetto di fondare ipotesi formali che condensano il senso e si stabilizzano come grumi fertili e permanenti nell’inerte fluidità della vita” 1).
Si può partire, per Repas frugal, logicamente dal rimando alla primarietà; come in Germinazioni di Irene Prendin, per la quale lo scheletro vegetale è composto da un materiale inorganico come il ferro, che viene piegato a descrivere forme che mimano strutture botaniche: una ricerca questa di realtà mediata dalla mano dell’uomo. L’organicità scultorea e anti-formale di Barbara Baroncini collega invece il calco di un broccolo in silicone, una seconda pelle artificiale della natura che ne trattiene un ricordo, ad uno dei pasti più poveri della tradizione italiana: il cavolfiore.
Giulia Bassani, ha realizzato un’opera vivente e in progress, dove la vera protagonista è la cenere, sostanza capace di trattenere e veicolare la memoria di una natura che si disfa ma che dalla stessa polvere trova vitale nutrimento, qui espresso dai piccoli germogli. Parte sempre dal concetto di vitalità Elena Hamerski, le cui sterili nature si trasformano però in una riflessione sulla sterilità, proposta attraverso una natura morta paradossalmente “morta in partenza”, cioè una natura che si presenta già come funzionalmente in cortocircuito; viva e turgida all’apparenza ma costruttivamente impossibilitata a generare altri frutti (i semi di piombo che custodisce), e dunque conserva dentro di sé il segreto della sua stessa nascita. Ad uno stereotipo francescano riletto attraverso Pasolini (Uccellacci e uccellini), ad un gesto istintivo e naturalissimo allude l’opera di Patrizia Giambi, artista per la quale la visione sperimentale dell’opera d’arte finisce con l’intrecciarsi con la vita stessa, in questo caso il dare da mangiare a degli uccellini, in carne ed ossa, tanto è il desiderio di portare in scena un’azione capace di ripetersi e di trasmettere una vitalità concreta... con le connesse incognite.
Altra “portata” è 4 Kg di caramelle gommose, di Matteo Babbi: tra l’offerta golosa e il riso amaro, ci troviamo all’interno di una strana legge del contrappasso tra il desiderio infantile e un raccapricciante timore geriatrico. Nell’opera di Martina Esposito l’ironia, il paradosso e la contraffazione giocano un ruolo centrale; con la sua Cimmenthal ci fa ragionare sulla qualità della nostra alimentazione dei pasti pronti e instaura un gioco esplicito sul contenuto della scatoletta stessa dove la “carne di unicorno” diviene paradosso tra animale di ieri e cibo di domani.
Jacopo Flamigni utilizza la primarietà dell’oggetto per riportarci ad una sorta di ABC della “tagliatella del colore”, dove, attraverso una citazione etnografica, la decodifica concettuale avviene attraverso i codici del mestiere della pittura, qui citata sotto forma di leganti, pigmenti, colore, tra alchimia e paradosso.
Carlo Rivalta ottiene la primarietà mixando pittura e oggetto: la prima l’immagine di un frigorifero, la conserva fondamentale per qualsiasi cucina della nostra cultura; il secondo un barattolo pieno di memorie grafiche che derivano, nella sovrapposizione di ortiche e chiodi, ad un proprio stato interiore.
Con l’opera MIO-MINE Alice Cesari ci s’immerge in una lettura consumata e personale, il libro Il limite dell’utile di G. Betaille, che diventa esso stesso un nutrimento sublimato, esaltato anche dall’operazione appropriante dell’incartare. Maria Paolini apparecchia una portata adagiando sul piatto un tiralatte, sollevando cosi il problema della primarietà da un punto di vista simbolico, risolto sia nel contenuto che nella forma. Se si parte da un rimando immaginifico alla Madonna che porge il seno a Gesù Bambino, immolandosi per il primo pasto, si può azzardare per l’artista un’esplicita dichiarazione di come nella contemporaneità, il primo e il più naturale pasto dell’esistenza umana possa essere surrogato da un tiralatte.
Dopo il latte, il pane. La poetica di Fabio Servadei Morgagni è quella che più esplicitamente ricorre alla figura, per veicolare il valore che egli intende affermare attraverso il gesto artistico: la dignità umana in qualunque forma essa si manifesti. In questo caso tanto la materia, il pane, quanto la forma, interpretano identitariamente il significato del cibo necessario al proprio sostentamento.
Ad altro tipo di figurazione ricorrono due artisti presenti in mostra, Matteo Lucca e Luca Freschi, questa volta però una figurazione che intende mettere in scena un’identità senza ricorrere ad un individuo, ad uno stereotipo. Nella scultura/ azione di Matteo Lucca non è infatti possibile eludere il tema della ricerca di identità, che è spesso alla base del suo lavoro, e che anche qui si manifesta in una ciotola-contenitore per il cibo che, per famelica bramosia e contatto, assume i connotati dell’autore che la usa; termina poi in un’offerta al pubblico del calco in pane della sua stessa immagine, in una sorta di rimando eucaristico.
All’interno di una poetica identitaria rientra anche il lavoro di Luca Freschi, che offre in mostra con l’opera Generatio un’istantanea tridimensionale della propria storia famigliare: il calco, unitamente alla matrice, delle mani delle donne della sua famiglia, accomunate dal gesto orante e raccolto delle mani giunte. A tutti noi è parso pertinentissimo l’accostamento tematico e simbolico al raccoglimento in preghiera che tradizionalmente precedeva il pasto nella nostra tradizione, che dà anche il titolo alla tavola di Ferdinand de Braekeleer.
Ivo Gensini, sensibile conoscitore dei metalli, utilizza la forgiatura e la fusione per ricostruire un piccolo angolo di casa contadina, nel quale un pesce e il pane bastano a dare sostanza visiva ad un antico detto romagnolo dove si affermava che bastava “bagnare il pane nell’ombra dell’aringa” perché questo ne prendesse il gusto, per una sorta di transustanziazione saporosa. Così anche qui la primarietà degli oggetti dà forma alla semplicità della vita familiare di una volta, dove i figli erano tanti, i soldi erano pochi e bastava pochissimo, anche il solo pensiero, per sentirsi sazi. Consumar s’addice di Tommaso Bressan, è un’opera che mette in gioco la primarietà formale dell’uovo, uno degli oggetti più puri che si trovano in natura, la sua povertà quel alimento della tradizione contadina, insieme alla ricchezza della composizione conica del piatto che presenta, e dei materiali “alti” della scultura: marmo di Carrara e bronzo.
La primarietà formale delle uova di Bressan si trasforma nell’opera di Oscar Dominguez in una primarietà anche materica e tecnica, attraverso al ricorso per questa natura morta di un elemento essenziale della scultura come l’argilla cotta, modellata manualmente.
Ci auguriamo che al termine di questa mostra lo spettatore possa, se non sentirsi più sazio per i piccoli assaggi estetico-culturali ricevuti, almeno uscire con un “blocchetto di buoni pasto” utili per l’avvenire.
Elena Hamerski
1) Achille Bonito Oliva, Gratis. A bordo dell’arte, Skira, Milano, 2002.
Con la collaborazione di
Cristina Ambrosini - Dirigente servizio Pinacoteche e Musei, Comune di Forlì.
Con il patrocinio di
Comune di Forlì - Assessorato alla Cultura
Comune di Portico e San Benedetto
In collaborazione con
Musei di San Domenico
Settimana del Buon Vivere 2013
Associazione dei Musei d’Arte
Contemporanea Italiani
Immagine: Patrizia Giambi, Briciole, 2001-2013. Alginato e mixed media.
Inaugurazione domenica 13 ottobre ore 11.30
Chiesa di Santa Maria in Girone
piazza S. Maria in Girone, 1 - 47010 Portico di Romagna (FC)
Orario: dal giovedì alla domenica, dalle 10.00 alle 19.00